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Gela: la scalata, l’arresto, i timori di essere ucciso. Parla Barbieri: «Emmanuello mi salvò»


di Redazione

Gela: la scalata, l’arresto, i timori di essere ucciso. Parla Barbieri: «Emmanuello mi salvò»
cronaca
13 Mag 2025

Il collaboratore di giustizia di Gela Carmelo Barbieri, quando era detenuto a Teramo, per l’indagine Grande Oriente, ha avuto colloqui con il generale Angiolo Pellegrini, che oggi si trova sotto processo a Caltanissetta per depistaggio dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia rese da Pietro Riggio.

Barbieri, originario di Resuttano, «figlioccio» di don Piddu Madonia, docente in un liceo di Gela, divenuta la sua città di adozione, prima del suo pentimento era ritenuto un esponente di primo piano di Cosa Nostra.

Uno degli incontri che il collaboratore di giustizia ebbe con il generale Pellegrini si sarebbe verificato a Marina Romea, in provincia di Ravenna, dove l’ex prof aveva l’obbligo di soggiorno. In quell’occasione – secondo il collaboratore – c’era anche il generale Alberto Tersigni, anche lui sotto processo insieme a Giovanni Peluso, accusato di concorso esterno all’associazione mafiosa.

«Dopo le visite ricevute nel carcere di Teramo e a Marina di Romea mi chiamarono dal commissariato di Gela e mi dissero che dovevo ricevere una visita dei loro colleghi», ha spiegato. A Marina di Romea Barbieri avrebbe incontrato alcuni esponenti dei servizi segreti. «Io – ha raccontato – ho avuto incontri con uno che si chiamava Gianni e l’ho incontrato anche a Gela. Ricordo che l’altra persona dei servizi si chiamava Salvatore. Pietro Riggio – ha aggiunto – veniva a trovarmi spesso a Marina di Romea. Poi venne a trovarmi a casa a Gela. Con Riggio mi sentivo in torto perché era stato arrestato a causa mia. Quando Riggio mi venne a trovare a casa a Gela, mi chiese se ero disponibile a collaborare con lui per la cattura dei latitanti. Mi disse di Daniele Emmanuello, con cui avevo avuto rapporti personali perché ci incontravamo spesso durante la sua latitanza».

Riggio si presentò a Gela, da Barbieri, con un sacchetto in cui c’era un telefono cellulare e un indumento intimo dotato di una microspia, oggetti utili a incastrare l’allora reggente di cosa nostra, Emmauello.

«Durante quella mia prima vita – ha detto Barbieri – io non avrei mai tradito Emmanuello perché scese in campo: in quel periodo volevano attentare alla mia vita. Visto che erano persone adiacenti alla nostra consorteria Emmanuello chiamo Rosario Trubia – poi diventato anche lui collaboratore di giustizia – e li fece calmare».

Rispondendo alle domande dei difensori Barbieri ha detto che «il colonnello Pellegrini mi parlò dell’arresto dell’allora latitante Bernardo Provenzano». Le lettere che l’ex prof gelese ha ricevuto dal cugino Pietro Riggio sono state tutte strappate «perché io non facevo come Riggio e non le conservavo».


Redazione
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