Dalla cenere all’acqua
di Emanuele Artale
Il cammino della Quaresima, che ogni anno la Chiesa inizia il Mercoledì delle Ceneri e chiude prima della Messa in “Coena Domini” il Giovedì Santo, è un itinerario di quaranta giorni che pone alla nostra attenzione due segni: le ceneri (ricavate dai rami di ulivo benedetti la domenica delle palme dell’anno precedente) e l’acqua del battesimo della Veglia Pasquale.
Tra questi due segni si sviluppa il tempo della Quaresima, un cammino che ci permette di riconoscere la nostra piccolezza e fragilità umana ma nello stesso tempo ci proietta nella realtà battesimale dell’essere figli di Dio. La parola chiave che accompagna questo periodo è “conversione”: riconoscere il proprio peccato o limite per iniziare un percorso di cambiamento a favore della Grazia.
Anche nel campo delle scienze umane troviamo questo percorso di ascesa e di cambiamento: diversi sono i metodi utilizzati in psicologia che invitano a vedere sé stessi e i comportamenti distorti del proprio io, identificare e ammettere l’esistenza di questa inclinazione negativa e rivolgersi al bene per scoprire la sorprendente saggezza nascosta nella propria personalità.
Indispensabili per procedere in questo cammino umano e cristiano sono la sincerità e il coraggio: essere veri, non mentire a noi stessi e avere la forza di affrontare le compulsioni negative per arrivare alla maturità di persone libere e redente.
La Sacra Scrittura ci offre diverse immagini di persone che dinanzi all’incontro con il Signore decidono di cambiare vita: la Samaritana (Gv 4, 1-42), Zaccheo (Lc 19, 1-10), Matteo (Mt 9, 9-13). La parabola che esprime meglio il carattere della Quaresima come tempo offerto per riscoprire l’amore verso Dio e i fratelli è quella del Padre misericordioso, comunemente conosciuta come “figliol prodigo”. L’esperienza del figlio giovane della parabola che decide di andare via da casa verso “un paese lontano…vivendo da dissoluto” (Lc 15, 13) e del figlio maggiore invece che rimane in quella casa servendo il padre per tanti anni osservando ogni comando, ci aiuta a capire che il vero rapporto con il Padre (Dio) è quello in cui ci si sente dire “Figlio, tu sei sempre con me” (Lc 15, 31). Solo questa relazione di intimità assicura il vero rapporto con Dio fondato sulla fiducia e non sul rigore o sulla paura. Per scoprire ciò bisogna “ritornare in sé stessi” e imparare a vivere dinanzi Dio con un amore libero e liberante. Questo cammino di crescita umana e spirituale che inizia con il “ritorno in sé stessi” è vissuto anche da chi sperimenta la reclusione in un carcere. L’esperienza della ristrettezza fisica, il vivere dentro una stanza di pochi metri, la rottura con la modalità negativa di vita intrapresa precedentemente sono l’occasione per imparare a chiamare con “nome e cognome” il proprio errore e a mettere in atto con coraggio e sincerità un cammino di cambiamento per un nuovo reinserimento in quella società danneggiata con il proprio reato. Certamente, non tutti hanno la maturità di riconoscere il proprio errore; altri invece con umiltà e schiettezza sono coscienti di aver sbagliato e sono disponibili al cambiamento; altri ancora, dopo aver riconosciuto di aver recato danno alla società tornano in quel percorso di male lasciato prima dell’ingresso in carcere. L’azione pastorale e il mio ruolo di cappellano hanno lo scopo di indirizzare coloro che sono in questa fase restrittiva in un nuovo cammino di “conversione” che li porti alla bellezza di un Dio che, nonostante l’errore e il peccato, usa la guarigione umana e spirituale per recuperare l’uomo nella sua interezza tramite quel viaggio che dalla propria cenere (cioè dal proprio peccato) conduce all’acqua del proprio battesimo (alla realtà di figlio di Dio redento e risanato)