Dati allarmanti dalla relazione della commissione regionale Antimafia sulla condizione minorile in Sicilia. Gela come Palermo, Messina e Catania, punte di iceberg di un fenomeno preoccupante. «E ci sono tre definizioni ricorrenti che abbiamo utilizzato: pedagogia mafiosa, sociologia criminale e solitudine». Lo dice il presidente della commissione, Claudio Fava, oggi a Catania, dove ha partecipato a un convegno promosso dal Dipartimento di Scienze della Formazione con la collaborazione dell’associazione anti racket Asaec «Libero Grassi».

«La mafia – aggiunge Fava – ha una propria pedagogia criminale e in assenza non tanto dello Stato, ma di una opportunità di vita diversa da quella che molti ragazzi si trovano difronte, si fa avanti e propone un progetto di vita: reclutare, assoldare e anche dare un ruolo, una funzione, uno stipendio. E naturalmente segnare la vita di questi ragazzi».

«Il problema – rimarca – non è tanto una risposta di tipo repressiva, ma capire quanta vulnerabilità ci sia dietro a questa scelta. E c’è una grande vulnerabilità legata al fatto che le periferie sono state abbandonate alla loro condizione di periferia: cioè di luoghi in cui non debba esistere altra presenza se non quella della scuola, della parrocchia, della caserma dei carabinieri. Tutto questo è il segno tangibile a Catania, come a Palermo, come a Gela, come a Messina, del fallimento di buona parte delle politiche pubbliche che avrebbero dovuto offrire non tanto rimedi temporanei, quanto superare questo concetto di periferia che ha determinato muri invisibili, ma altissimi e invalicabili».