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L'INTERVISTA | Polo industriale

Gela ha futuro, Livorno chiude. Renzi e la bioraffineria, «patacca» o scelta virtuosa? Parla uno dei protagonisti


di Redazione

Gela ha futuro, Livorno chiude. Renzi e la bioraffineria, «patacca» o scelta virtuosa? Parla uno dei protagonisti
attualità
8 Apr 2021

«Renzi chi? Quello che è venuto a chiuderci la raffineria?» Giù la maschera, chi, almeno una volta lo ha detto o pensato? Scagli la prima pietra chi non ha colpe (noi compresi). Oggi, però, il cielo a tinte fosche che domina sopra Livorno e dintorni, con le maestranze in sciopero e il futuro di quella raffineria appeso a un filo, bisogna forse fare un po’ mea culpa e rivalutare quelle scelte. Ma Renzi, in fondo, l’ha salvata o affossata la raffineria di Gela? È una domanda che vogliamo rivolgere a uno dei protagonisti di quei mesi, l’avvocato Giuseppe Ventura, all’epoca assessore delle Politiche ambientali del comune, oggi coordinatore provinciale di Italia Viva (già, il partito di Renzi).

Avvocato, ma allora, la raffineria l’avete affondata o l’avete salvata?

«Sorvolo sulla provocazione, almeno voi chiamate prima di scrivere. Altri invece gettano fango. E noi, per i casi più gravi, valutiamo di rispondere con la querela. Comunque, no… la raffineria non l’ha chiusa Renzi. Era già chiusa. Semmai ha dato un futuro».

Vabe’ ma lei è amico di Renzi, stesso partito…

«Faccio una premessa: quando Renzi venne a Gela, gli impianti erano già fermi. Mi rendo conto, però, che nei mesi in cui Gela viveva un dramma e molte famiglie erano lì a manifestare, non sarebbe stato semplice dare spiegazioni o valutare l’impatto di certe scelte. Anzi, pure l’amministrazione, a essere onesti, era lì a manifestare. Oggi, però, dire che Renzi venne a salvare l’industria a Gela non è un’affermazione distante alla verità».

In che senso, avvocato?

«Partiamo dall’inizio: piano strategico di Londra 2014-2017. L’Eni aveva deciso di chiudere la raffineria. E aveva anche le sue buone ragioni. Il prezzo del petrolio era ai minimi storici. Raffinare in Italia non aveva senso, era antieconomico. Mesi prima, inoltre, la raffineria aveva subito un incendio e la magistratura aveva aperto un’inchiesta, sequestrando gli impianti. Ricorderete tutti le manifestazioni del luglio 2014 con la venuta in città della segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso. Ecco, quello era il contesto. Sempre in quei mesi all’Eni serviva una nuova autorizzazione integrata ambientale (aia, ndr) e ricordiamo tutti la concertazione presso il ministero per l’Ambiente. Il sito industriale era fuori norma sul piano delle emissioni e la nuova autorizzazione venne subordinata all’applicazione di 113 prescrizioni. A ogni prescrizione un intervento, a ogni intervento un investimento. Serviva oltre un miliardo di euro. Inoltre la raffineria da lì in poi non avrebbe potuto bruciare il petcoke. Ricordo a me stesso che eravamo stati l’unico sito industriale del mondo a considerare il petcoke un propellente e non un rifiuto speciale, da smaltire in siti specializzati. Non c’erano più le condizioni per tenere in marcia il vecchio sito produttivo».

Quindi niente petcoke, niente energia elettrica, niente margini?

«Non solo, Eni si sarebbe trovata con tonnellate di carbon coke da smaltire, decine di camion al giorno da caricare, far transitare sulle strade. Per non parlare dei costi di smaltimento in discarica. Ma ricordo che stiamo parlando di una raffineria già ferma per volere dell’Eni e con molti impianti sequestrati per effetto di un’inchiesta».

Ma poi viene Renzi e dà il colpo di grazia…

«È accaduto l’esatto contrario, Renzi ha chiamato l’Eni alle proprie responsabilità: Gela non chiude, si trasforma nella più grande bio raffineria d’Europa. Gela come Marghera. E dopo che tutti gridarono allo scandalo, ponendo Livorno come modello, oggi l’impianto in Toscana ha il destino segnato. E se ne invoca il salvataggio attraverso i fondi del recovery plan».

Ma Renzi avrebbe potuto compiere questa operazione a impianti ancora in marcia. O no?

«Ricordo che in quei mesi Renzi era presidente del consiglio dei ministri, non amministratore delegato di Eni. Per l’azienda non c’erano i margini. Soprattutto a causa del blocco della centrale. E poi non bisogna dimenticare che Gela era oramai destinata a diventare deposito costiero di carburanti con 108 operai in servizio. Oggi abbiamo una raffineria moderna, che dà lavoro a più di mille addetti».

Ma prima erano 10 mila, e quando venne chiusa erano in tremila. Ricorda?

«Un impianto che bruciava il carbon coke, che inquinava, non era più giustificabile. Grazie al Governo, a quel tanto vituperato protocollo d’intesa del novembre 2015, oggi l’industria in città ha un futuro. A Livorno rimpiangono di non aver avuto la nostra stessa fortuna. Possiamo contare su un’industria compatibile con le spinte di una vocazione turistica che, giustamente, ci arrivano da più parti. Ieri sarebbe stato impensabile immaginare il museo del Mare a bosco Littorio a pochi metri dalle torri che emanavano il petcoke. Oggi, con la bio raffineria questo è possibile».

Oggi si parla di polo universitario, di una raffineria compatibile con l’ambiente. Eppure in molti non vi perdonano quelle scelte di sei anni addietro. Si è chiesto mai il perché?

«A distanza di anni possiamo affermare che quella scelta ha evitato il peggio, ridando un futuro a una raffineria già chiusa. Renzi, nella storia, è stato l’unico premier a venire a Gela. Ha salvato la raffineria. Ma ha anche consegnato alla città 130 milioni di risorse con il Patto per il Sud. Peccato si dimentichi che a Palermo un presidente della Regione che si chiama Musumeci abbia sfoltito quelle risorse, sottraendo al territorio una trentina di milioni di euro. Non ho mai sentito una critica. Ma questa è un’altra storia».


Redazione
Today 24 è un quotidiano on line indipendente, fondato nel 2014 da Massimo Sarcuno. Ogni giorno racconta i fatti e le notizie di Gela, Niscemi, Riesi, Butera, Mazzarino e di molti altri comuni del comprensorio. In particolare l’area del Vallone.