Gela: «I miei giorni in una Milano deserta», Orazio Accomando racconta «È dura ma insieme ce la faremo»
di Orazio Accomando
Quando il mio direttore chiama, non posso non rispondere. Ho cercato mille modi per aprire questo articolo, ma ho continuavo a pigiare il tasto canc della tastiera. Massimo Sarcuno, mio maestro e direttore di Today24, mi ha insegnato tanti trucchi del mestiere, ma su una cosa è sempre stato chiaro: «Dì sempre quello che sai, la verità, e scrivi con il cuore che la gente apprezzerà». Mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza, in una Milano deserta da far paura. La città del tutto che d’improvviso ho visto trasformarsi nella città del niente. Paura, desolazione, rabbia, a causa di un virus che sta provando a mettere in ginocchio tutto il Paese. Ma non ci riuscirà. E questa è un’opinione ovviamente personale, ma esageratamente convinta. Sono stati e sono giorni particolari, di psicosi e pessimismo, di igienizzanti e mascherine, di distanze e diffidenza, di panico e paura. Ed è impossibile provare a far finta di nulla. In pochi attimi ti trovi catapultato in un cambiamento che ti obbliga a fermarti e riflettere. Sono state settimane strane, in cui la stessa Milano che vi racconto si è divisa tra gli scettici che hanno sminuito il tutto e gli ipocondriaci che hanno pensato alla fine del mondo. La mia lancetta pende più verso il primo caso. Non voglio sminuire il tutto, ma non penso che moriremo tutti. Non sono un medico e ovviamente non mi permetto di spiegare cosa bisogna fare. Non sopporto i tuttologi e purtroppo, nell’era della prima epidemia dell’era social, ne ho letti parecchio. Gente che aveva appena terminato l’incarico come critico musicale a Sanremo e che inizia a parlare di medicina e politiche internazionali, senza aver nemmeno mai letto la Gazzetta dello Sport. E purtroppo, ormai, ci siamo abituati. Motivo per cui ho provato un esperimento: chiudere i social per tre giorni. Ho scoperto che si può vivere senza e non escludo di farlo diventare un qualcosa di definitivo. E sono stati proprio quei giorni a riportarmi sulla Terra, a riflettere appunto.
Mille e 459 i chilometri che separano il monolocale in cui vivo, nella verde e tranquilla Cornaredo, da Casa mia a Gela. E Casa, scritto con la C maiuscola non è un errore. Ho imparato subito ad apprezzare il posto che mi ha accolto. È giusto e rispettoso così. In fondo sono un migrante che un anno e mezzo fa, stanco di una situazione lavorativa che a Gela non decollava, ha deciso di partire, all’inseguimento di un sogno poi realizzato. Eppure il prezzo da pagare è alto. E non parlo di affitto e bollette. Ma un costo che nessuno stipendio riesce a compensare. Qui continuo a lavorare, utilizzando tutte le misure di sicurezza indicate. E lavorare aiuta a staccare la spina, a dimostrazione del fatto che in questi giorni il mondo si è capovolto. Ma so che tutto tornerà alla normalità.
In questi giorni ho avuto rabbia e paura, sentimenti che oggi lasciano il posto a una rassegnazione momentanea. La testa è rivolta a Casa, a fidanzata e famiglia, a parenti e amici, a una città probabilmente non pronta per affrontare una situazione di emergenza. Oggi che l’Italia intera è zona protetta ho solo speranza: che tutti rispettino le regole, in modo da chiudere questo capitolo nel più breve tempo possibile. Ho voglia di tornare giù, di continuare i preparativi per il mio matrimonio a fianco della persona che amo, di osservare il mare con una granita in mano, di cenare in famiglia e non da solo, in una stanza diventata casa, troppo piccola per due e troppo grande per uno. E la vera difficoltà di questi giorni è stata proprio quella di accettare di rimanere a 1.459 km, da solo e senza la possibilità di condividere questa fase storica con le persone che amo. È un sacrificio enorme, ma fondamentale. Che in tanti stanno facendo. Non siamo eroi, per carità. È per questo chiedo a tutti di rispettare le regole che ci hanno indicato. Fatelo per voi, fatelo per i vostri cari e fatelo anche per chi, per il vostro bene, ha deciso di non prendere treni e stringere i denti, comprendendo la paura di chi lo ha fatto ma criticandone ampiamente la scelta. Si tratta di un atto di altruismo e generosità, ma Gela, la mia Gela, nei momenti complicati ha sempre tirato fuori il meglio di sé.
Facciamolo anche questa volta.