Inchiesta sugli appalti truccati, dirigente dell’ufficio tecnico torna agli arresti domiciliari
di Redazione

L’architetto Sebastiano Alesci, 67 anni, attualmente a capo dell’ufficio tecnico del Comune di Licata, torna agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta su tangenti e appalti pubblici pilotati. Lo ha reso noto il procuratore della Repubblica di Agrigento, Giovanni Di Leo, precisando che il gip Giuseppa Zampino ha applicato una misura minore rispetto a quella chiesta dalla procura, ossia il carcere. Alesci, indagato per associazione a delinquere, corruzione e turbata liberta’ degli incanti e ritenuto a capo di un’organizzazione a delinquere insieme all’ex assessore regionale Roberto Di Mauro (solo indagato), e composta da imprenditori e un altro pubblico funzionario, era finito ai domiciliari il 15 maggio. La Squadra mobile di Agrigento, durante l’esecuzione del decreto di perquisizione a carico di 13 dei 14 indagati (il solo Di Mauro non aveva ricevuto la notifica del provvedimento e il suo nome era inizialmente coperto da omissis) aveva trovato in casa sua 17 mila euro ritenuti provento di una tangente. Per questo era scattato l’arresto in flagranza ma la procura di Gela (competente perché fermato nella residenza di campagna a pochi chilometri da Gela) non aveva chiesto la convalida. Il capo dei pm di Agrigento ha, quindi, chiesto al giudice l’applicazione della custodia in carcere e il gip di Agrigento (che aveva convalidato altri 4 arresti in flagranza) ha disposto i domiciliari. Di Leo, intanto, interviene (senza nominarlo) dopo la presa di posizione del sindaco di Agrigento, Francesco Micciché, che aveva auspicato l’avvio dei lavori di rifacimento della rete idrica, il cui appalto dell’importo di 37 milioni, sarebbe stato “truccato” da alcuni indagati compreso Alesci che faceva parte della commissione di gara: “Indagini della complessià di quella in esame non possono essere contenute nei termini indicati dal legislatore per le intercettazioni, con una recente modifica del codice di procedura penale, che ha lasciato comunque al pubblico ministero e al giudice di valutare l’emergenza di elementi che impongano nel caso concreto la prosecuzione dell’attivita’”. Secondo il procuratore l’accorciamento dei tempi per le intercettazioni ha complicato le indagini. “I tempi di una attivita’ amministrativa complessa sono di norma assai piu’ lunghi e in ogni momento possono inserirsi in essa fenomeni devianti dal buon andamento della pubblica amministrazione. Le intercettazioni – aggiunge Di Leo – sono e restano, pertanto, uno strumento indispensabile per l’accertamento di reati a concorso necessario, come quelli oggetto di indagine, dove non e’ pensabile che il corrotto o il corruttore si presenti spontaneamente a denunziare i fatti che lo coinvolgono, o che un terzo, vista la natura illecita e segreta dell’accordo corruttivo, possa venire a conoscenza del medesimo e riferire alla autorita’ giudiziaria o di polizia. Gli attuali controlli amministrativi esistenti, gia’ in parte depotenziati, non appaiono sufficienti a garantire sprechi e ruberie”.
