Gela: quella volta che Padre Pio pianse, quell’altra che scampò alle fiamme. «Oggi c’è solo degrado e abbandono»
di Redazione

C’è una storia che pochi conoscono e riguarda la statua in bronzo di Padre Pio, oggi custodita all’interno del complesso parrocchiale dei Salesiani di Gela. Quella scultura, circa vent’anni fa, venne trovata con il volto bagnato dalle lacrime, dalle palpebre e giù per tutto il volto. A fare la scoperta furono il parroco dell’epoca, don Giuseppe Cigna, e lo scultore che l’aveva in costruzione, l’artista Roberto Tascone. È proprio lui a rivelarci l’accaduto.
«Chiarisco – dice – che non avendo una fervida fede, ero e sono abbastanza scettico su quell’episodio. Era il 1999 e don Cigna mi telefonò in piena notte. Era inverno. La statua era in fase realizzativa, nel mio laboratorio, all’epoca ospitato in un piccolo rustico all’interno della zona industriale. Il parroco mi disse che dovevamo andare, perché aveva avuto una premonizione».
L’artista non senza protestare, data l’ora, non se la sentì di deludere il parroco e lo accompagnò al laboratorio.
«Appena aprii la porta – dice – rimasi un po’ interdetto, mentre don Cigna si mise a pregare: il volto della statua del santo era tutto bagnato. Don Cigna forse attribuì quelle “lacrime” a qualcosa di mistico ma io cercai di ridimensionare la sua euforia. Era notte, forse l’umidità. O una qualche perdita dal tetto che, in pieno inverno poteva dare luogo a infiltrazioni. Tutto poteva essere accaduto. Certo però, confesso, quelle gocce d’acqua sul volto della statua, qualche dubbio me lo lasciarono. Ma ripeto, da credente non particolarmente convinto quale sono, lasciai perdere. Non so se il parroco segnalò l’episodio al vescovo dell’epoca».

Ma qualche mese dopo accade un altro fatto altrettanto misterioso.
Nella zona industriale (dicembre 2000) scoppia un vasto incendio, che devasta alcuni rustici industriali. Tra questi il laboratorio dello scultore, all’interno del quale, tra le altre opere, è in fase di realizzazione la statua di Padre Pio.
«Fu il perito dell’assicurazione – dice – durante il sopralluogo avvenuto giorni dopo l’incendio, a scoprire questo secondo episodio che definirei “particolare”. L’intero laboratorio, che condividevo con mio fratello, titolare di un’attività di illuminotecnica, fu devastato dalle fiamme. Tutto tranne la piccola nicchia in cui stavo lavorando alla statua di Padre Pio. Il perito ne fu molto colpito. Sembrava come se un aura avesse protetto la statua dalle fiamme. Io, ripeto, da credente, ma non troppo fervente, la ritenni una coincidenza, anche se strana».
Oggi quella statua è venerata nel complesso parrocchiale di San Domenico Savio. Non fu mai esposta nel luogo per il quale era stata pensata dalla devozione di don Cigna, scomparso anni fa, e confermato nel progetto a firma del compianto architetto Renato Morselli.
No, il Comune non concesse mai l’autorizzazione.
Ricapitolando, abbiamo una statua, che ha una storia (chi crede o meno è libero di avere la propria rispettabile opinione sui fatti che abbiamo sopra narrato) e c’è una piazza che, finanziata con il Contratto di Quartiere, oggi è ridotta a ricettacolo di cartacce. Con basole divelte, rifiuti, e scritte estemporanee sulle pareti.
C’è perfino il ceppo in pietra sul quale don Cigna e l’architetto volevano collocare la statua bronzea del frate, poi eletto santo della Chiesa.

«Al di là degli strani episodi – dice Tascone – sui quali ognuno è libero di farsi l’idea che vuole, e mi riferisco alle “lacrime” e all’incendio, oggi l’unica certezza riguarda lo stato di abbandono della piazza. Mi piacerebbe se gli attuali amministrazione volessero rivalutare quella scelta infelice compiuta dai loro predecessori e ridare luce a una piazza oggi abbandonata. C’è un altro sindaco, assessori giovani, probabilmente più sensibili alle esigenze del Villaggio Aldisio e dei fedeli. Il Comune finanziò il Contratto di Quartiere, la parrocchia e i cittadini con le loro offerte finanziarono l’opera, pagando i conti per il materiale e la fonderia. Ci rimettemmo tutti. Ma vedere che quegli sforzi sono andati persi fa una certa rabbia».
La piazza, infatti, oltre che per degrado, spicca anche per la poca sicurezza. Negli anni è stata più volte vandalizzata: oltre a rompere mattonelle e imbrattare muri, sconosciuti malviventi hanno rubato le lampade e perfino le griglie in ferro delle caditoie. E al calare della sera diventa luogo di spaccio, come accertato anni fa da un’operazione condotta dalla Guardia di Finanza.
Ma perché il Comune, all’epoca, non volle dare il permesso e fare allocare la statua di Padre Pio?
«Non saprei – racconta Tascone – anche se ne parlai più volte con don Cigna. Seppi, dopo, che il sindaco dell’epoca, non era d’accordo. “Gela è una città devota a Maria, non a Padre Pio” avrebbe detto durante un incontro. Lasciando in don Cigna amarezza e delusione».
