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In mediocre… non stat virtus


di Redazione

opinioni
23 Dic 2019


Hanno studiato, si sono formati, c’è chi è andato via e non è più tornato, chi è rimasto, per scelta o per necessità, e prova a spuntarla, con molta, troppa difficoltà. È la generazione dei millennials, piccoli eroi, soldatini del quotidiano, a cui era stato promesso il mondo in cambio dell’impegno e che, scoppiata la bolla di sapone, si sono accorti della colossale bugia; che non è sempre vero che i sogni si realizzano, che devi fare i conti con i concorrenti sleali sfornati dalle università telematiche, con i raccomandati,la “logica dei numeri”,i mediocri.

Riconosco, in ognuno di loro, il senso di ingiustizia della sconfitta. L’ho provata anch’io, questa delusione rabbiosa. Mi sono chiesta come fosse possibile che, a Gela, emergessero sempre e solo persone di bassa levatura. Dalle consonanti di troppo nella dizione delle parole, agli erorri grammaticali di qualche giornalaio, misticamente oggetto di esaltazione, al successo politico di persone di dubbia cultura. Perché tanto terreno fertile in una città che avrebbe invece bisogno di idee buone, semplici, di un nuovo inizio che non abbia sapore stantìo?!

Riflettendoci su, lo stereotipo mi si configura davanti come l’immagine sbiadita di un santino di carta rimasto in borsa per troppo tempo. Ed in fondo questo è, il mediocre: persona opacizzata, priva di ideali politici, cultura generale, raffinatezza intellettuale e, tuttavia, pur sempre un santino; vuoi per la famiglia numerosa, vuoi per circostanze di fortuna (che, si sa, asini e piciriddi Dio li aiuta), per le doti di intrattenimento al bar più cool della città o non foss’altro che per il portafogli gonfio ed il conseguente altrui timor reverenziale .

Al mediocre, in effetti, riconosco la capacità di aver compreso l’assenza delle proprie doti ed averla sfruttata al meglio, candidandosi a posti di potere, per gridare al vento parole vuote. Alla gente piace assai ascoltare racconti di fantasia, promesse e rassicurazioni occupazionali, che se ti metti a parlare di leggi e soluzioni plausibili, annoi anche un po’. Perbacco! Un po’ di creatività!

Ammetto altresì, e non con poca difficoltà, la furbizia del mediocre nell’aver percorso la strada più breve, a colpi di esamini a quiz, cocktail offerti, abiti di raffinata sartoria, senza dimenticare il passaggio di consegne familiare, cosa assai frequente.

Se mal comune è mezzo gaudio, posso ben affermare come il problema non sia solo gelese ma, ahimè, figlio di un’Italia intera, sprofondata nell’ignoranza diffusa prima ancora del prevedibile Salvini e di movimenti pseduo rivoluzonari.  

Come figurine doppione che non riesci a smaltire, questo Paese pare popolato da mediocri sbucati dai programmi trash e, con un movimento di bacino, approdati sugli scranni dei palazzi della politica, dell’industria, dovunque. “Sono intorno a noi, sono come noi, ma non parlano con noi”, intonava una canzone rap. Ed in effetti, questi alieni ben vestiti, nella mischia, quasi non li riconosci, seppure basti parlar con loro un attimo, per capire.

Certamente, in mediocre non stat virtus (mi perdoneranno, i latinisti). Oserei persino dire quanto determinante, in peggio, sia la presenza di costoro, a tutti i livelli, per le sorti di una città.

Ciò che incide, più d’ogni altra cosa, non è l’italiano stentato, neppure la poca conoscenza dell’apparato amministrativo, e no, neanche la vacuità di taluni pensieri, ma l’assenza di libertà. Perché, caro mediocre, se fai politica per campare non sarai mai libero di esercitare il tuo compito: prima del bene comune, verrà il tuo bisogno; se non sei libero, non potrai scrivere la verità; se non sei libero, non potrai lottare per ciò in cui credi.

C’è speranza nel breve termine? Credo di no. La legge dei numeri, come si dice spesso, vince su tutto.

Ha senso, allora, continuare ad impegnarsi, credere, investire nel sapere? Si. Per noi stessi, per i nostri figli, per i nipoti.

Resto convinta che la cultura sia la chiave di volta; so per certo quanto Gela, e l’Italia intera, abbiano bisogno dei “soldatini quotidiani”, delle associazioni che quella libertà non l’hanno perduta; di formichine operaie che ancora hanno voglia di  leggere per il sol piacere di apprendere, capire, pensare con la propria testa;  di chi lavora dietro le quinte con sacrificio: senza di loro, in fondo, non si va in scena.

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